Probabilmente Roland Barthes è stato il critico che più di altri ha inteso il suo lavoro come dissacrazione del sapere precostituito della tradizione. Quando il suo Frammenti di un discorso amoroso approdò nelle librerie – nel 1977 in Francia, due anni dopo in Italia – fu un enorme successo editoriale che lo rese, assieme a La camera chiara, il suo libro più famoso e più venduto. Un’eco pari solo alla virulenza con cui i detrattori del semiologo francese lo considerarono invece l’ammissione di una sorta di scacco teorico dello stesso autore. Per l’unicità che lo distingue, infatti, il libro non è facilmente classificabile e il “discorso amoroso” di cui si parla va inquadrato nei termini del dialogo tra vita e opera, della dispersione per frammenti di un sentire dissimulato per svariate motivazioni e mascherato nel gioco della scrittura. La pervasiva presenza di un Io innamorato che “parla e dice” non è riferibile in senso stretto all’autore della tradizione classica, di cui lo stesso critico aveva decretato la “morte” dieci anni prima; quest’indeterminatezza sancisce la libertà del lettore di fronte al testo e riduce lo scrivente a un’intersezione di citazioni e ripetizioni, delegando al lettore la facoltà di appropriarsi liberamente di ogni processo di significazione del testo. L’autore e l’opera, sostiene Barthes, non sono che il punto di partenza di un’analisi il cui orizzonte è il linguaggio, la loro dissociazione consente di giocare col senso e con le regole della scrittura e di liberare così la parola.
Nell’incipit, c’è una sorta di avviso al lettore che recita: “La necessità di questo libro sta nella seguente considerazione: il discorso amoroso è oggi d’una estrema solitudine”. Segue quindi la parte poetico/teorica introdotta con l’aristotelico sottotitolo Come è fatto questo libro a squadernare il quale c’è l’assunto secondo cui l’innamorato non è un “soggetto sintomatologico”, ma piuttosto il precipitato di qualcosa di “inattuale” e di “intrattabile”. Da qui l’opzione drammatica in cui l’azione di un linguaggio immediato sostituisce gli esempi, la simulazione soppianta la descrizione e l’Io si accampa sulla scena come istanza fondamentale, come enunciazione di sé: un ritratto non “psicologico”, ma “strutturale” fatto da un amante “che parla dentro di sé, amorosamente, di fronte all’altro (l’oggetto amato), il quale invece non parla”. L’amore diventa perciò cornice e chiave per inchiodare il narratore all’opacità di un discorso intrinsecamente inafferrabile. Barthes autore organizza i frammenti in ottanta voci o figure disposte in ordine alfabetico (per esempio: Abbraccio; Annullamento; Assenza; Corpo; Gelosia; Tenerezza….) che evocano sentimenti e situazioni relativi all’esperienza d’amore. Entra nella pelle di un autore che si propone enciclopedico e cerca di classificare, organizzare, comporre una topica amorosa, ma come essere vivente vuole rendere autentico il discorso amoroso preservandolo dalla retorica insita nel linguaggio stesso di cui è composto. La sua ambizione è quella di fare un ritratto strutturale dell’amante più che psicologico.
Con qualche debito nei confronti di Georges Bataille, Barthes paragona l’amore a un “dispendio”, a rappresentare il quale invoca Goethe e Nietzsche, la letteratura mistica e la psicanalisi lacaniana, con una mole di riferimenti che fa del discorso un labirinto e al contempo una superficie riflettente e in cui, in definitiva, ad accamparsi e ad accampare i propri diritti su tutto è il guazzabuglio del linguaggio con le sue leggi che ci mostrano come l’amore sia una zona grigia e opaca “in cui il linguaggio è insieme troppo e troppo poco, eccessivo […] e povero”. Esso, insomma, è come una nebulosa e può essere “detto” solo nella consapevolezza dell’indeterminatezza di ogni discorso, nel senso che l’impossibilità di delimitarlo consente solo di parlarne per allusioni, evocazioni, squarci lirici. Perciò il discorso amoroso è impossibile e l’altro diventa inafferrabile. Come autore innamorato, Barthes scardina la modellizzazione del discorso scientifico tradizionale, e grazie alla forma del narratore innamorato mira a cogliere ciò che non è oggettivabile o riconducibile a paradigmi sicché Frammenti è come un’esplorazione scientifica fatta con gli strumenti della letteratura, una riscrittura che non persegue un’istanza dogmatica di verità, ma si pone sotto l’insegna della finzione artistica che non vuol dire che sia, per sua natura, meno autentica del vero.
Con la filologia tanto la dichiarazione quanto la petizione di affezione disconoscono l’affiliazione come adozione minuziosa della relazione flessibile soggetto oggetto.
"Mi piace""Mi piace"