Corsi e ricorsi in appello

Dove l’appello è quello d’esame, i corsi quelli di studio e i ricorsi sono quelli storici degli errori, dei lapsus linguistici, degli sproloqui alle verifiche finali degli studenti. Ne ho già scritto in altre occasioni (vd. Son tutte belle le spade del mondo e La ringrazio per il disturbo), e quest’ulteriore perciò si configura come un nuovo tassello (una “gionta” avrebbe scritto Ariosto) di quella che inizia ad assomigliare vagamente a una saga (non “sagra” come ho sentito a un esame).

Lungi da me l’idea di voler infierire: ci tengo a precisare che adoro TUTTI i miei studenti, da quelli brillanti a quelli che si arrangiano, da quelli che ti rivelano un mondo interiore inimmaginabile (se solo riesci a vincere la loro introversione), a quelli estroversi che non si danno mai per vinti e suppliscono alle loro defaillances con esilaranti motti di spirito, da quelli tenaci e determinati, ligi alle consegne e severi con sé stessi, a quelli più approssimativi e “lagnusi”, disordinati ma con guizzi improvvisi di genialità. Mi metto sempre nella condizione di voler apprendere anche quando sono io ad insegnare, ognuno di loro è una sfida diversa, perciò mi incuriosiscono al punto da farmi considerare il mio lavoro il più stimolante e bello che io potessi fare. Perciò li rispetto sempre, molti di loro lo capiscono e non si sentono sottovalutati. Mi è capitato (ma non me ne faccio un vanto) chi mi ha sorriso anche dopo un esame andato male perché non si è sentito maltrattato per quello (ripeto sempre che a punirci o o a promuoverci ci penserà la vita e non un professore), chi mi ha ringraziato a distanza di tempo per una bocciatura, o chi mi ha confessato di avermi odiato per un voto basso che riteneva di non meritare, salvo poi riconquistarne col tempo la simpatia e la confidenza. Molti anni fa, quando insegnavo a scuola, ebbi per alunna anche una mia bravissima collega che oggi insegna russo nel mio dipartimento; allora le diedi 4 in un’interrogazione di latino e ne ridiamo sinceramente tutte le volte che ci incontriamo. Io sostengo che sia stato proprio quell’episodio ad averla incoraggiata e che dovrebbe essermi grata per aver capito verso dove indirizzare i propri interessi.

Senza-titolo1Detto questo, non riesco mai a trattenermi dall’annotare quanto di buffo ascolto ai colloqui d’esame o leggo nelle prove scritte degli studenti, non per comporne uno stupidario tra tanti di ogni genere, ma per conservarli nel cassetto dei ricordi lieti assieme a tanti momenti felici che hanno definito il mio essere ciò che sono – qualunque cosa io sia – come sono state quelli della mia adolescenza e della mia giovinezza, con tutte le ingenuità che l’hanno zavorrata, gli amori, i miei figli e l’illuminazione dell’essere padre, le passioni indomabili come quelle per la letteratura e il cinema, per i Beatles e Marilyn Monroe, per il basket e per la Juventus. E per quella nobile, seria, delicata responsabilità che è l’insegnamento.

Mi fa sorridere benevolmente, quando ne sento il bisogno, richiamare alla mente quelle volte in cui uno studente, sollecitato a dirmi quale fosse l’ultimo libro letto, ha cercato di far colpo dicendomi quanto avesse amato L’amico di TROVATO di Fred Ulhman o IN MEMORIA di Adriano della Yourcenar, Anna KARENÌNA di TOSTO o Le notti bianche di DOSTOI. E ancora le impervie e improbabili descrizioni di tragedie e crisi esistenziali di autori dalle biografie violentate (“Saffo era il dio dei venti che si suicida perché non riesce a realizzarsi sentimentalmente”; “Ippolito Nievo morì alla tenera età di trent’anni”; “Pavese si suicidò… come Croce”). Come pure la confusione ingenerata dallo studio matto e disperatissimo dei nostri tre maggiori autori italiani – Dante, Petrarca e Boccaccio – “le tre COROLLE che la nostra grande letteratura può vantarsene” – e che fa finire con l’attribuire all’autore del Decameron i componimenti del Canzoniere (Boccaccio in questo sonetto, il 234, parla della sua cameretta la quale in passato, cioè prima della morte di Laura, fu un rifugio di giorno per i suoi pensieri, di notte per le lacrime”) o sintetizza, come in un mash-up, i “canti di Boccaccio” e le “ottave di Dante”. La qual cosa accade con frequenza ogni qual volta si chiama in causa anche Foscolo e il suo immortale “carmo” Dei Sepolcri in cui l’inelluttabile verso “e tu gli ornavi del tuo riso i canti che il lombardo pungean Sardanapalo” scatena ardite congetture sull’identità in questione (“il protagonista del Giorno di Parini”; “un allievo di Parini, autore della Divina Commedia“; “un re assiro di discendenza longobarda”).platone-anteprima-500x430-697438

C’è la studentessa che risponde senza rispondere, semplicemente aggirando la domanda, perdendosi nei sentieri della divagazione, e che al mio “…sì, d’accordo, ma poscia?” replica piccata: “no, professore, Poscia non c’era nel programma, io sono arrivata a Manzoni….eh!!!”. Che fa un po’ il paio con quello che ti dice “D’Annunzio prese la concezione del superuomo da NIETZSCHE” (pronunciato come si scrive, tipo spelling) e alla correzione del docente che osserva “Nicce, si dice”, replica “ha ragione, professore: D’Annunzio prese la concezione del superuomo da NICCESIDICE” . O con chi, prendendo appunti durante la lezione, trascrive un mio “…perché, Marx docet…” in “Marx Docet sostiene che…”. Càpitano a volte anche imbarazzanti risvolti hard come quando ti dicono che “l’autore ha sodomizzato il concetto” o quando ti parlano dell’emisticChio di Dante (questa la capiranno solo i siciliani). Accade di scoprire che nell’IliadeAchille abbandona la moglie Diomede per seguire Ulisse nelle sue avventure” o che gli studi erùditi di Petrarca” lo abbiano portato ad “adottare una poetica separatista”.  Originali azzardi filologici o linguistici ci dicono che il Todo modo di Leonardo Sciascia debba il suo titolo all’espressione “Todo modo para bailar e non a Ignazio di Loyola (qualcuno lo ha citato persino come Sant’Ignazio Toyota”) che negli Esercizi spirituali scrive “Todo modo para buscar la voluntad divina”. Invitata a fare un’analisi retorica di un paio di versi, una studentessa ritenne di potervi rinvenire una enaiàsg e, al mio palese smarrimento, ci tenne a precisare che sul manuale c’era scritto enallage e che lei si scusava per la sua pronuncia francese.

Questo mio interesse è noto ad amici e colleghi tanto che essi stessi, sovente, mi segnalano bizzarrie linguistiche e concettuali che è capitato loro di poter documentare. E non solo agli esami di Letteratura italiana. Così ho annotato anche quelli di cui non sono stato testimone diretto, ma sulla cui veridicità non ho motivo di dubitare per la credibilità che riconosco alle mie fonti. Credo perciò che sia accaduto davvero che ci sia stato chi abbia parlato agli esami delle “Lobotomie del paradiso, cave siracusane dove vennero chiusi i prigionieri ateniesi” o che qualcuno abbia riconosciuto in Noam Chomsky “un giornalista dei new media”.esami-esami-ovunque-554x300

Non sempre i suddetti svarioni giustificano una bocciatura anche perché chi valuta cerca di tenere in debito conto l’emozione dell’esame e l’ansia del candidato, ma con tutta la benevolenza del caso, talvolta la censura è inevitabile. Potrebbe irritarmi solo l’arroganza di chi non vuole ammettere di dover consolidare la propria preparazione, come altri suoi colleghi hanno utilmente fatto, e che magari replica, come mi è accaduto, accusandomi di averlo preso di mira come “capo ispiratore della situazione”. Mi intenerisce, al contrario, lo studente respinto che comprende la natura delle proprie lacune e ammette l’inutilità di “piangere ormai sul latte macchiato”.

Quello invece che la sfanga potrebbe arrivare a chiederti se debba firmare il verbale d’esame “per disteso” e, a quel punto, a trapanarti la mente è il dubbio sulla necessità di ulteriori supplementi d’indagine.

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