La delusione è un sentimento sottovalutato. Gli attribuiamo quasi sempre un sapore sgradevole per il suo andare a braccetto con il senso di sconforto e amarezza che deriva dal non vedere realizzate le proprie aspettative. Ma la delusione è anche un’immensa risorsa, andrebbe assaporata in purezza, non corrotta dal pasto avariato del disinganno, dal boccone velenoso della recriminazione e del rancore, filtrata dal setaccio della consapevolezza. Così raffinata, consente di guardare le cose nella giusta prospettiva, di perimetrare correttamente le aspirazioni, di essere, insomma, l’agrimensore dei propri desideri. Le persone o le esperienze che ci deludono sono quelle a cui dobbiamo una più esatta percezione dei nostri bisogni. È la rivincita della propria sfera logica su quella emotiva, il microscopio che ci consente di vedere le cellule malate di una situazione che non corrisponde alla realtà, ma unicamente alla rappresentazione che ce ne eravamo fatti.

In amore, per esempio, quando sopravviene? Nel momento in cui realizziamo che l’idolo intorno a cui ruotano i nostri desideri non è tale, ma solo un feticcio, quando ci accorgiamo di amare più l’idea che ci eravamo fatti che la persona com’è davvero. Cosa sia lo spiega meglio l’etimo contenente il termine latino ludus, che è il gioco, ma anche l’inganno. La regia amorosa prevede, infatti, da copione, la realizzazione di un certo numero di effetti illusionistici che, proprio come negli spettacoli di prestidigitazione, possono essere di varia natura. La più elementare è quella fisico-meccanica: curiamo l’aspetto esteriore per colpire la vista e produrre l’incantamento. Ma senza esagerare, senza dare l’impressione di essere innaturali. Ci teniamo ad apparire eleganti, indossando con disinvoltura lo smoking delle nostre migliori abitudini. Subentra poi la misdirection, questa è fondamentale perché consiste nel rivolgere l’attenzione dell’osservatore altrove. Si cerca, cioè, di far concentrare l’altro su determinati aspetti del gioco illusionistico, inducendo l’oblio di altri. Si cucina, se si è bravi tra i fornelli, si canta se si è intonati, si usano i motti di spirito, se si è ironici, e così via. Tutto serve per colpire i sensi, per suscitare ammirazione e sviare da ciò che non dev’essere notato (difetti, cattive abitudini, inclinazioni caratteriali problematiche). La misdirection è fondamentale nella drammaturgia sentimentale perchè, se solo si percepisse il trucco, il gioco risulterebbe compromesso e a poco varrebbe il tentativo dell’illusionista maldestro di rimediare ai propri errori. Altra regola fondamentale dell’illusionismo è quella “dinamica” per cui un movimento grande ne copre uno più piccolo. Se si attira l’attenzione su un gesto evidente (in amore può essere l’effetto-sorpresa di un coup de théâtre – le serenate quando ancora si facevano – o un regalo spropositato) si tenderà a guardare quello e non si noteranno altri movimenti impercettibili in cui consiste l’inganno. Questo è di importanza capitale nella comunicazione commerciale, la réclame pubblicitaria si fonda sul principio del colpire l’occhio per conquistare la mente. Ecco, in amore si è come pubblicitari di sé stessi. Infine, è determinante il ritmo, il tempismo. Tutti i trucchi necessitano dei tempi giusti, questo è chiaro nei giochi di manipolazione con le carte, e chi bara sa benissimo quanto sia fondamentale la scelta del momento in cui distribuire o pescare la carta dal mazzo.

Ma in alcuni giochi molto comuni, come quello delle tre carte, per esempio, non bisogna trascurare il ruolo dei compari che circondano il baro e l’ingannato. Nei giochi di illusionismo amoroso, i compari sono ovviamente gli amici o le amiche che hanno il preciso compito di legittimare l’autorevolezza e la correttezza dell’artefice del gioco illusionistico. Questi devono sostanzialmente alzare la posta, indurre a pensare a quanto allettante possa essere la vincita, per aumentare nel giocatore la tentazione di scommettervi.
Cosa fa l’illusionista? Crea a parole, nella mente dello spettatore, il simulacro di una situazione eccezionale rispetto alla realtà comune. Analogamente, chi ama ci tiene a generare nell’amato la sensazione che il proprio sentimento non abbia corrispettivo e lo fa con frasi del tipo: «nessuno ti amerà quanto ti amo io»; «nessuno farebbe per te quello che sto facendo io»; «nessuno, a parte me, si metterebbe in una situazione del genere». La componente psicologica è fondamentale proprio perchè la magia in sé non esiste e la magia dell’amore è essa stessa una contraddizione in termini. La magia è solo nella mente dello spettatore o dell’amato mentre la realtà è altra cosa. È anche una questione di stile illusionistico. Ci sono “maghi” che si affidano alla simpatia e che risultano credibili per la capacità di instaurare attraverso la battuta un clima confidenziale che dispone alla fiducia e ci sono i cosiddetti “mentalisti” che basano il loro stile sulla capacità di indurre una sorta di minaccioso timore. Nelle relazioni amorose, questi corrispondono grosso modo a quelli che usano frasi del tipo «non troverai nessuno/a come me»; «col carattere che hai, senza di me sei destinato/a rimanere solo/a»; «nemmeno lo sai cosa significa sacrificarsi per qualcuno, come sto facendo io». In pratica, non conta tanto ciò che l’illusionista fa, ma l’effetto che si produce nella mente dell’illuso, la crepa che l’illusionista riesce a individuare per penetrare nella mente altrui.

La principale, ad esempio, è quella del completamento logico: date due azioni non direttamente consequenziali, se ne inferisce una terza che porta dalla prima alla seconda. Esempio banale: ho una pallina chiusa nel pugno della mano destra, la avvicino alla sinistra e la pallina compare in quest’ultima. La mente inferisce così che la pallina sia prodigiosamente passata per invisibili vie da una mano all’altra. Questa falla logica è utilizzata dal mago per trattenere la pallina, nascondendola nella mano destra, e mostrare nella sinistra un’identica pallina che era già nella mano. L’illusionista escogita un modo per fingere l’azione del passaggio in modo che la finta azione sembri, per quanto possibile, identica all’originale. Questo trucco è tanto più facile quanto più naturali e fluidi risultano essere i movimenti delle mani.

Nelle relazioni sentimentali possono accadere manipolazioni mentali di questo tipo quando, per esempio, si usa al posto della pallina, una bugia nota detta da uno dei due soggetti amorosi. L’illusionista la usa “spostandola” disinvoltamente da una mano all’altra anche quando le circostanze non lo ammetterebbero e, con naturalezza, basa la sua capacità di controllo mentale fondandola su un semplice presupposto: a) tu hai detto una bugia in una determinata situazione (la pallina nella mano destra); b) la possibilità che la bugia possa essere usata in un’altra circostanza (la mano sinistra) dipende solo dalla naturalezza e dalla fluidità con cui io riesco a farti percepire come naturale il movimento della pallina/bugia per dimostrare che non sono io a manipolare la pallina, ma sei tu a doverti convincere di essere bugiardo. La domanda che ne consegue è: perché? L’illusionista ha uno scopo: produrre intrattenimento. Il soggetto amoroso potrebbe averne altri: produrre condiscendenza, soggezione o potere. Lo spettatore che scopre il trucco, al massimo non si diverte. A chi, in amore, resta deluso mi sembra si addica di più smontare il giocattolo per vedere cosa c’è dentro e capire cosa gli ha procurato piacere. Se si conoscono i meccanismi del gioco, è più facile giocarci senza rischiare di farsi male.
Love is a losing game, cantava Amy Winehouse. Va da sé che il bello del gioco amoroso è il piacere che ci procura nel momento in cui ne siamo attori. Quando finisce ci rammarichiamo, cerchiamo di capire, di aggiustarlo, perché non vogliamo vederci negato il piacere che ci ha procurato. Ma, di fronte all’irreparabile, l’alternativa è rinunciarvi per sempre o smontarlo per capire perché sentissimo il bisogno di giocarci. Gli amori – la loro ebbrezza, il capitale di sogni e fantasie che suscitano – possono finire. La delusione no, quella resiste, è per sempre. Come i diamanti della pubblicità. Ma serve, e ci aiuta, in ogni passaggio della vita, a fare scelte che non siano autodistruttive.
Molto bello. Dolorosamente autentiche le considerazione conclusive, che mi hanno indotto a riflettere sulla ragione per cui ci sembra sempre che il rapporto con chiunque altro abbia raggiunto un’intimità inedita solo in seguito allo svelamento reciproco o unilaterale di ferite insanabili, come se queste rappresentassero l’eredità che più stabilmente sia in grado di definire identità per il resto incessantemente mutevoli; e sono davvero, credo, i segni su cui si imprime con eloquenza un bovarismo umanamente connaturato, responsabile dell’immagine fantasmatica di cui siamo inventori e che attendiamo di proiettare su chi sia abbastanza abile retoricamente o in altro modo di interpretarne la forma infine evanescente, che anestetizzi un senso di incompletezza, di banalità dell’esistenza, soprattutto di solitudine. Ecco, è questo accidente, tra i meno opportunamente ammissibili in pubblico, che costituisce la causa e l’effetto di un’illusione manipolatoria incatenante, ma che, almeno finché non se ne senta la morsa troppo stretta, si desidera, proprio come il pubblico di un gioco di prestigio brama l’intrattenimento, predisponendosi psicologicamente all’inganno.
Penso ancora una volta a Pavese e alla sua lettura del mito di Orfeo, divenuto artefice volontario di una condanna definitiva per l’amata, ma salvifica per ciò che lo riguarda, poiché si sarebbe altrimenti trascinato dietro l’illusione di un simulacro, una storia oramai compiutasi, che avrebbe sanato apparentemente il dolore della sua solitudine, ma che sarebbe equivalsa ad un destino di morte. Penso anche alle parole di un’insegnante del liceo che adoravo, quando le raccontai della delusione per la fine di un’amicizia che credevo ci avrebbe viste invecchiare insieme. Avevo vent’anni e mi disse “il per sempre non è per la tua età”: come praticamente tutto quello che diceva mi parve una rivelazione, ma oggi non ne sono più convinta. Credo non esista un’età in cui cessi la sfilata di una fine dopo l’altra, che la fine in questione si manifesti con evidenza o meno. Mi chiedo solo se col tempo una tale labilità diventi meno dolorosa. Ci sono poi le delusioni naturali e quotidiane che tutti vicendevolmente ci infliggiamo e che ci spogliano dell’incanto ingenuo prodotto da un amore cieco, rendendolo più concreto e sensibile a quel “sacro poco” pasoliniano, nostro e altrui, a quella cucitura necessaria di poveri, scarsi brandelli di stoffa in cui risiede l’amore sufficente a non farci vagare nudi nell’irriducibilità di una normalità poco eclatante, eppure maestosa.
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