È stato detto che il silenzio è una forza; in un senso affatto diverso lo è, e terribile, nelle mani di coloro che amiamo. Il silenzio accresce l’ansia di chi aspetta. Niente ci attira verso una persona come ciò che ci separa da lei, e quale barriera è più insormontabile del silenzio? È stato detto, anche, che il silenzio è un supplizio, e capace di spingere alla follia chi, in una prigione, vi sia sottomesso. Ma che supplizio spaventoso – ben più che il doverlo serbare – è il doverlo subire da parte di chi si ama! «Cosa starà facendo, si chiedeva Robert, per tacere così? Non c’è dubbio, mi sta tradendo con un altro!» E si chiedeva anche: «Che cosa le ho fatto perché ora taccia così? Forse mi odia, e per sempre». E accusava se stesso. Il silenzio lo faceva impazzire, in effetti, di gelosia e di rimorso. Del resto, più crudele di quello delle prigioni, un silenzio siffatto è esso stesso una prigione. Una paratia immateriale, certo, ma impenetrabile, questo strato d’atmosfera vuota che i raggi visivi dell’abbandonato non possono attraversare. C’è forse una luce più terribile del silenzio, che ci fa vedere non un’assente, ma mille, ciascuna nell’atto di consumare un diverso tradimento? Quel silenzio, a volte, in un brusco soprassalto, Robert credeva che fosse lì lì per interrompersi, che la lettera attesa stesse per arrivare. La vedeva, eccola, spiava ogni rumore, e, già placato, mormorava: «La lettera! la lettera!». Dopo aver intravisto, così, un’immaginaria oasi di tenerezza, si ritrovava a trascinarsi nel deserto reale del silenzio senza fine.
Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto. I Guermantes
Nella Recherche di Proust, Robert de Saint-Loup ha interrotto bruscamente la relazione con l’amante; la fine di una storia può essere un balsamo che allevia i patimenti e le angosce che solitamente accompagnano i naufragi sentimentali. Quella stazione esistenziale in cui il personaggio sperimenta finalmente la tregua dall’ansia («è una cosa così dolce che la rottura, una volta che gli si rivelò come definitiva, assunse per lui un po’ dello stesso fascino che avrebbe avuto una riconciliazione») si rivela, però, solo una sosta provvisoria, il preludio a un’esperienza più terribile di qualsiasi turbolenta crisi di coppia: quella del “silenzio d’amore”. Vale a dire quella zona grigia, quell’occhio opaco in cui l’assenza dell’amata genera ogni genere di dubbio, mette in moto la giostra delle supposizioni («una complicazione di carattere secondario, i cui flussi era lui stesso a produrre incessantemente»), dà la stura a una ridda di ipotesi tra le più svariate: vorrà riavvicinarsi? starà aspettando un segno? e se, nell’attesa, volesse vendicarsi concedendosi ad altri? un messaggio potrebbe bastare a scongiurare questa fatalità? quanto tempo passerà prima che qualcun altro la faccia propria, ostinandosi a indugiare nell’attesa? Di questo genere sono le domande, inevitabilmente senza risposta, di Robert che, in silenziosa attesa, finisce «col rendere folle il suo dolore». Anche in absentia si può perpetuare un dialogo con l’immagine che si vuole preservare, si mantiene una personale forma di prossimità ideale in cui la preoccupazione principale è di mantenere integra la forma che si è data all’amore, fin quando questo ha resistito. Ma la distanza, anche fisica, determina un’angoscia che è il terreno di coltura dell’immaginazione, tirannica Gorgone in agguato, pronta a tessere l’intricato e torvo arabesco della gelosia.