L’amore si cura con l’amare

A l’aire claro ò vista ploggia dare,
ed a lo scuro rendere clarore;
e foco arzente ghiaccia diventare,
e freda neve rendere calore;

e dolze cose molto amareare,
e de l’amare rendere dolzore;
e dui guerreri in fina pace stare,
e ’ntra dui amici nascereci errore.

Ed ho vista d’Amor cosa più forte:
ch’era feruto, e sanòmi ferendo;
lo foco donde ardea stutò con foco;

la vita che mi dè fue la mia morte,
lo foco che mi stinse ora ne ’ncendo:
d’amor mi trasse e misemi in su’ loco.

Giacomo da Lentini, A l’aire claro ò vista ploggia dare

Dal cielo sereno ho visto cadere pioggia,
ed emettere bagliore di lampi;
e la fòlgore trasformarsi in grandine
e dai cristalli nivei prodursi calore;

e dolci cose diventare amare,
e dell’amare rendere dolcezza;
e due nemici restare in una pace perfetta,
e tra due amici generarsi discordia.

E dell’Amore ho visto una cosa grandiosa:
che io ero ferito e, ferendomi, mi guarì;
spense col fuoco il fuoco di cui bruciavo;

la vita che mi diede fu la mia rovina,
ora brucio dello stesso fuoco che già mi uccise:
mi ha tolto dalle pene d’amore per mettermi di nuovo in esso.

La figura dell’Amore si direbbe essere l’ossimoro: mentre ci dà la vita ci consuma, ci innalza per poi abbatterci. È cura e malattia, vita che ci strappa alla morte e che ad essa ci riconsegna. Insomma, l’Amore si cura con l’amare, come suggerisce la leggenda – saccheggiata dalla poesia provenzale – della lancia di Peleo che guariva, con un secondo colpo, le ferite inferte dal primo. Ne è convinto anche il notaro Giacomo da Lentini che paragona l’esperienza a eccezionali fenomeni fisici ed atmosferici, in cui gli effetti sembrano contraddire le cause. Certo, può capitare tal fiate di vedere piovere col sole e riempirsi di luce la notte, ma come può un fulmine trasformarsi in ghiaccio o darsi calore dalla neve? Non era certo stolido il poeta; quel che a noi sembra incongruo era comune credenza nel Medioevo: il processo di congelamento fa sì che si produca calore dalla neve per mezzo della riflessione della luce solare. Quest’attenzione ai principi scientifici che governano i sentimenti era, altresì, usata prassi (vi ricorreranno ampiamente, tra l’altro, Guido Cavalcanti e Dante) e, almeno fino a Galilei, i poeti faranno largo uso di metafore scientifiche per spiegare qualcosa di ontologicamente non riducibile a teoria, qual è l’Amore. Lo stesso notar Giacomo, in un altro sonetto (Sì come il sol manda che la sua spera), paragona la freccia d’amore che passa attraverso gli occhi dell’amante alla luce che attraversa il vetro senza romperlo fisicamente. Ma il poeta di Lentini alzerà sempre più l’asticella, intensificando la tensione tra desideri sacri e profani, in uno dei suoi sonetti più famosi (Io m’aggio posto in core a Dio servire) in cui dirà qualcosa del tipo: io, Giacomo, voglio sì servire Dio per guadagnarmi un posto in Paradiso, ma sotto sotto non sono poi tanto sicuro di volerci andare, se questo vorrà dire allontanarmi dalla persona che amo.

Un pensiero riguardo “L’amore si cura con l’amare

  1. Così scriveva un altro Giacomo che se ne intendeva d’amore, Casanova: “Che cosa è mai l’amore! Ho letto tutto ciò che ne hanno scritto i cosiddetti saggi e ci ho riflettuto sopra a lungo da vecchio, ma ciononostante non ammetterò mai che l’amore sia una cosa sciocca o vana. E’ una sorta di follia, su cui la filosofia non ha alcun potere; una malattia cui l’uomo è soggetto in ogni età e che è incurabile, se colpisce nella vecchiaia. Ineffabile amore! Sovrano della natura! Sei un’amarezza di cui non v’è nulla di più dolce, una dolcezza di cui non v’è nulla di più amaro, un divino prodigio che si può definire solo con paradossi…” (“Storia della mia vita, I, 468) e mi colpisce, anche se ovviamente si tratta di un topos fra i più ricorrenti, la perfetta consonanza con il nostro Giacomo da Lentini: “e dolci cose diventare amare,
    e dell’amare rendere dolcezza”. Un abbraccio

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