L’«esmesuranza» e l’«esvalïanza», ovvero: come rincoglionire in poche semplici mosse

O iubelo del core,
che fai cantar d’amore!
Quanno iubel se scalda,
sì fa l’omo cantare,
e la lengua barbaglia
e non sa che parlare:
dentro non pò celare,
tant’è granne ’l dolzore.
Quanno iubel è acceso,
sì fa l’omo clamare;
lo cor d’amor è appreso,
che nol pò comportare:
stridenno el fa gridare,
e non virgogna allore.
Quanno iubelo ha preso
lo core ennamorato,
la gente l’ha ’n deriso,
pensanno el suo parlato,
parlanno esmesurato
de che sente calore.
O iubel, dolce gaudio
ched entri ne la mente,
lo cor deventa savio
celar suo convenente:
non pò esser soffrente
che non faccia clamore.
Chi non ha costumanza
te reputa ’mpazzito,
vedenno esvalïanza
com’om ch’è desvanito;
dentr’ha lo cor ferito,
non se sente de fore.

Iacopone da Todi, O iubelo del core

O gioia del cuore, che fai cantare per amore! Quando la gioia s’infiamma, fa cantare l’essere umano veramente, e la lingua balbetta e non sa quel che dice: non può nascondere dentro di sé la dolcezza, tanto è grande. Quando l’intima gioia raggiunge il massimo fervore, fa davvero gridare; il cuore è infiammato d’amore, al punto che non lo può sopportare: la gioia fa gridare stridendo, ma in quel momento non si prova vergogna. Quando la gioia ha preso interamente il cuore innamorato, la gente lo deride, pensando ai discorsi di costui che parla in modo irrazionale di ciò che lo brucia. O gioia, dolce piacere che entri nella mente, il cuore diventerebbe saggio, se nascondesse il proprio stato: eppure non può evitare di gridare. Chi non ne ha esperienza ti reputa impazzito, vedendo lo strano contegno, come di chi vaneggia; internamente ha il cuore ferito e non percepisce il mondo esterno.

Certo, l’amore di cui si parla è quello per Dio, ma in cosa differisce da quello per un essere umano? Quando amiamo, non proviamo forse lo stesso intenso sentimento di gioia e di ebbrezza che fa toccare il cielo con un dito? Non è, l’amor profano, una forma anch’esso di esmesuranza che può condurre allo spossessamento di sé, che ci fa straparlare con chiunque della persona amata, facendocela idealizzare e magnificare ben oltre ogni connotazione realistica, producendo il vaneggiamento (esvalïanza) finale? Si dirà che iubelo, termine frequente, oltre che nel componimento, nel lessico mistico in genere, non lasci àdito a dubbi sul fatto che di amore per l’Altissimo si stia parlando. Epperò Iacopone – bricconcello – per celebrare l’amor sacro, usa in abbondanza il lessico della poesia profana, disseminando la sua lauda di tanti provenzalismi tipici della lirica dei trovatori: il «cantar d’amore», il «dolzore», per dirne una, vengono da lì per poi fare rotta verso i siciliani.

La stessa impossibilità di profferire parola al culmine dell’estasi mistica («e la lengua barbaglia | e non sa che parlare») ricorda l’impaccio che coglie, in Madonna mia, a voi mando, Giacomo da Lentini in presenza della donna amata, e lo fa ammutolire quasi rincoglionito («da poi ch’e’ per dottanza / non vo posso parlare»). Per non dire che il ricorrente concetto del calore («Quanno iubel se scalda»; «Quanno iubel è acceso») come proiezione figurale dell’amore ha un suo corrispettivo in Guinizzelli di Al cor gentil rimpaira sempre amore («e prende amore in gentilezza loco | così propïamente | come calore in clarità di foco. | Foco d’amore in gentil cor s’aprende | come vertute in petra prezïosa»; «Amor per tal ragion sta ’n cor gentile | per qual lo foco in cima del doplero»). Queste spie che ci dicono della sicura conoscenza, da parte dell’autore, di modelli della tradizione, basterebbero a farci ritenere che egli volesse scrivere un testo “letterario”, una poesia d’amore, e non solo una preghiera. Connesso a questi motivi, è poi il motivo della dolcezza («tant’è granne ’l dolzore»; «dolce gaudio»); in siciliano (ma anche in calabrese), l’espressione «aviri u cori ‘nto zuccuru» (avere il cuore nello zucchero), che potrebbe figurare benissimo nel lessico della gentilezza cortese per significare la condizione di chi è infatuato, è pregnante anche per dire di come l’eccesso di dolcezza possa finire col produrre, dopo il picco dell’innamoramento, segnali di altra natura: malinconia, incupimento, tristezza. Esattamente come avviene al corpo e all’umore con l’iperglicemia.

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