L’ultima nota del tuo addio
mi disse che non sapevo nulla
e che arrivavo
al necessario tempo
di imparare i perché della materia.
Così, fra pietra e pietra
seppi che sommare è unire
e che sottrarre ci lascia
soli e vuoti.
Che i colori riflettono
l’ingenua volontà dell’occhio.
Che i solfeggi e i sol
raddoppiano la fame dell’orecchio.
Che è la strada, e la polvere,
la ragione dei passi.
Che la via più breve
fra due punti
è il giro che li unisce
in un abbraccio sorpreso.
Che due più due
può essere un pezzo di Vivaldi.
Che i geni gentili
stanno nelle bottiglie di buon vino.
Una volta imparato tutto questo
tornai a disfare l’eco del tuo addio
e al suo posto palpitante scrissi
La Più Bella Storia d’Amore
ma, come dice l’adagio,
non si finisce mai
d’imparare e aver dubbi.
Così, ancora una volta
facilmente come nasce una rosa
o si morde la coda una stella cadente,
seppi che la mia opera era scritta
perché La Più Bella Storia d’Amore
è possibile solo
nella serena e inquietante
calligrafia dei tuoi occhi.
Luis Sepúlveda, La più bella storia d’amore

La storia, nella sua scarna essenzialità, è questa: “Lucho” Sepúlveda conobbe Carmen Yáñez – la Pelusa – cui è dedicata questa poesia – nel 1968. Il Cile era allora sotto la presidenza del socialista Salvador Allende; la temperatura delle tensioni sociali era alta e Luis era un giovane molto impegnato, ancor più dopo il terremoto generazionale della morte del Che in Bolivia. Molti ragazzi attivi nella Gioventù comunista scoprirono allora che il partito nascondeva diverse notizie sulla rivoluzione cubana, ed entrarono in conflitto col partito, alcuni come lo scrittore vennero espulsi. Negli anni del governo di Unidad popular, tra incessanti riunioni, scioperi, manifestazioni, picchetti, volantinaggi, quel diciottenne sognatore, che incantava parlando di politica, di poesia, di libertà conobbe la quindicenne Carmen, lei era la sorella di un amico che gliene aveva vantato la bellezza: «è da mangiare», avrebbe detto. Dopo tante insistenze di Lucho, l’amico avrebbe accettato di presentargli la sorella, in cambio di due bottiglie di vino. «È quello che valgo» scherzerà Carmen anni dopo, in un video per i settant’anni di Sepulveda: «due bottiglie di vino, e neanche pregiato, di quello scadente, da supermercato».

Innamoratissimo, la sposerà dopo tre anni, nel 1971, concependo insieme un figlio: Carlos Lenín. Ma si vedranno pochissimo a causa dell’intensa militanza politica che li terrà lontani a lungo. La loro giovinezza finirà di colpo l’11 settembre del 1973, con il golpe di Pinochet che metterà fine al governo allendista, costringendo entrambi alla clandestinità e all’esilio: lui in Germania, lei in Svezia. Per entrambi sarebbe cominciato un periodo di clandestinità, arresti, torture e repressione. Sepúlveda lascerà il Cile nel 1977, Carmen quattro anni dopo, lui si trasferirà in Germania, lei in Svezia. I contatti tra i due saranno solo epistolari e telefonici, ma saranno costanti e amichevoli anche dopo il pacifico divorzio che converranno.

Lo scrittore si risposerà con Margarita, con cui vivrà ad Amburgo e da cui avrà altri tre figli, ma da cui si separerà dopo tredici anni di matrimonio. La seconda moglie tedesca aveva sempre saputo che il marito era rimasto innamorato di Carmen. Ed è a questo punto che accade quell’imponderabile che solo la fantasia letteraria riesce a concepire; Lucho vive ancora con la moglie in una casa nella Foresta Nera, anche se di fatto erano già sentimentalmente separati, e Margarita decide di invitare Carmen durante un’assenza dello scrittore, impegnato come ospite alla “Semana Negra” di Gijón del 1996. L’anno è fatidico, è quello che dà inizio al successo mondiale di Sepúlveda con la pubblicazione della Gabbianella. Al ritorno dalla Spagna, del tutto ignaro della presenza di Carmen e del figlio che lei ha avuto da un altro uomo, lo scrittore la trova in casa.

Ricomincia così, dopo vent’anni, la loro storia d’amore; i due decidono dopo pochi giorni di partire per Parigi mentre Margarita si offre di tenere con sé tutti i bambini. Ed è sul treno che da Basilea li porta in Francia che Lucho scrive questa poesia. Dopo una sola notte a Parigi, l’uomo le propone di andare a vivere insieme a Gijón e lì si trasferiranno dopo qualche mese, risposandosi nel 2004. Vivranno insieme, fino alla morte dello scrittore, in una casa magica affacciata sull’oceano, con i due animali che Sepúlveda amava immensamente: un cane di nome D’Artagnan e un gatto – Yoyo – che stava sempre ad osservarlo, per ore, mentre scriveva.
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