
Uno spettro s’aggira per l’Europa – lo spettro del punto e virgola. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono alleate in una santa battuta di caccia contro questo spettro: ministri e deputati; scrittori e professori; allenatori e calciatori; studenti e influencer. Il più negletto tra i segni di punteggiatura è tollerato, al più, come incongrua pecetta infralinguistica, disancorata da un suo uso effettivamente funzionale, un po’ come le fugaci apparizioni di Hitchcock nei suoi film o i messaggi subliminali e satanici che si potevano udire nei vinili delle rock band, suonati al contrario. Insomma, per dirla con un neologismo pescato dal Pasticciaccio di Gadda, quando proprio va bene il suo uso è cinobalanico («l’orgasmo cinobalanico dell’antecipato giudizio»), dal greco κύων, κυνός (kyon, kynòs «cane») e βάλανος (balanos=glande). Se non fosse che serve, nei messaggini, a fare l’emoji che fa l’occhiolino – 😉 – non se lo filerebbe nessuno e lo si potrebbe anche togliere dalle tastiere.

Sarà per quella sua posa leziosa che si fa beffe dell’austera assertività del punto o della minacciosa perentorietà dei due punti, fatto è che lo amo; è come lo sbuffo di profumo da vaporizzare sul collo prima di uscire per andare a un appuntamento galante. Non c’entra niente con la sostanza, ma dice tutto delle sfumature; serve, infatti, a mettere in relazione due segmenti di frasi tra i quali c’è nesso logico, ma non sintattico. Quindi, si direbbe che è come un lubrificante del pensiero, serve a vivacizzare il periodare pallido e assorto. Lode, perciò, al grande editore Aldo Manuzio che lo inventò nella seconda metà del Quattrocento. Manzoni, insuperato lavandaio in Arno, ne fa usi notevoli, come quando mette di fronte un untuoso Don Rodrigo che si autocandida “protettore” di Lucia a un titanico fra Cristoforo che gli taglia le gambe proprio con un punto e virgola, adoperato a mo’ di sprangata sui denti del signorotto: «… la vostra protezione! Bene sta che abbiate parlato così, che abbiate fatta a me una tale proposta. Avete colma la misura; e non vi temo più». Il punto sarebbe stato troppo e la virgola troppo poco; ecco allora che quell’esatta e studiata pausa amplifica perfettamente il tono fermo della perentoria frase finale: «non vi temo più». E Don Rodrigo se la prende così in saccoccia.

Una nota teoria evoluzionistica affermava che «la funzione crea l’organo», ma perché questo si sviluppi occorre l’uso. Che fine ha fatto, oggi, il punto e virgola? Qual è il suo stato di salute? Se non è morto, poco ci manca, compagno di sventura del congiuntivo, vuoi per sporadico utilizzo vuoi per il suo definirsi più per “sottrazione” – non è un punto e nemmeno una virgola – pur potendosi riconoscergli, rispetto ai suoi parenti prossimi, anche delle non trascurabili peculiarità ritmico-prosodiche. Assuefatti all’idea della semplificazione argomentativa, aborriamo tutto ciò che è dubbio; tra l’evidenza indicativa e la sfumatura possibilistica ci facciamo attrarre dalla prima e così il congiuntivo e il punto virgola finiscono per stare alla lingua come l’ombretto alla matita per gli occhi. Uno sfuma, l’altro marca. Eppure l’italica genìa che ha ereditato il gusto per la guicciardiniana discrezione, così poco avvezza alle decisioni chiare e propensa piuttosto alle causidiche distinzioni, dovrebbe adorare il punto e virgola. E invece lo snobba. Come una cosa inutile

Ricordo una mia compagna di classe che, al liceo, aveva evidenti problemi con la punteggiatura. Non ne azzeccava uno che fosse uno. I suoi temi erano flussi di coscienza che Virginia Woolf si sarebbe scansata; ricordo che, una volta, consegnò alla professoressa d’italiano un compito in cui non c’era nemmeno una virgola per sbaglio. Roba che nemmeno il monologo di Molly Bloom nel più sopravvalutato dei romanzi moderni – l’Ulysses di Joyce, ça va sans dire. Ebbe, però, l’accortezza di aggiungervi un riquadro, alla fine del foglio, un recinto a matita in cui erano accatastati, alla rinfusa, tutti i segni di punteggiatura, con una didascalia per l’insegnante: “li metta lei dove servono”. Geniale. Perché coglieva, così, una verità ancor oggi drammatica, e cioè che non si dedica abbastanza attenzione, a scuola, all’uso corretto dei segni d’interpunzione. Se solo si cogliesse come il punto e virgola possa diventare il piede di porco che scardina un’arrugginita serratura argomentativa, non riusciremmo più a farne a meno. Quindi, dissento affatto dallo scrittore americano Kurt Vonnegut che, in una sua lezione di scrittura creativa, ne scoraggiava l’uso definendolo «un ermafrodita travestito che non rappresenta assolutamente niente, se non che si è stati al college». Sto più dalla parte di Pietro Citati che reputava il suo assassinio «molto più grave dell’assassinio di padri, madri, figli, figlie, mariti, mogli, nonne, cognati di cui parlano con infinita voluttà i nostri giornali». Perché è la ricchezza stessa del pensiero complesso ed elegante, un po’ come l’accordo diminuito in uno standard del jazz, come la tinta pastello in una tavolozza di colori primari, come la nebbiolina sul mare che sfuma la vista dell’orizzonte. Qualcosa da preservare con ossuta determinazione, da custodire con materna sollecitudine. Dio salvi il punto e virgola.